La storia della famiglia Alkoury di Damasco, fuggiti dalla guerra, vivono ora Cascina

Cronaca
Politica
Cascina
Martedì, 6 Giugno 2017

La storia della famiglia Alkoury, formata da Milad, Naima e il piccolo Sharbel rappresenta la diaspora di un popolo coraggioso e tenace, come quello siriano. Sono arrivati a Cascina nel febbraio di quest’anno grazie a un corridoio umanitario, realizzato dalla Comunità S.Egidio, che è riuscita a portare in Italia molte famiglie profughe, per ora la cifra si aggira su un totale di quasi mille persone. I nuclei familiari e le persone vengono “vagliate” in loco e solo in seguito possono arrivare nel nostro paese. Una volta in Italia si aprono altre procedure burocratiche e ad esempio, proprio nella giornata di mercoledì 7 giugno, la famiglia Bousa sarà accompagnata in Prefettura per il rinnovo del permesso di soggiorno.

La Famiglia Alkoury viveva in un quartiere della capitale Damasco, Jobar, oggi in rovina e abbandonato a causa della guerra che dal 2011 sta devastando la Siria. Milad faceva il capomastro, abilissimo nel lavorare gli stucchi ed il gesso, Naima è una tenace casalinga, Sharbel, un bambino vispo e sveglio che sta facendo degli ottimi progressi con l’italiano – “è facile” – dice sorridendo. Riusciamo a comunicare grazie ad un traduttore vocale del cellulare di Milad che traduce in arabo. Il nostro italiano scandito in sillabe per evitare sfumature intraducibili viene trasformato dall’applicazione in un arabo musicale, anche se un po’ distorto dal suono elettrico riprodotto dalle piccole casse audio del telefonino.

Un giorno una bomba cadde sulla casa di fronte, l’esplosione però danneggiò gravemente anche la nostra. Da quel momento ci rendemmo conto che non era più possibile vivere lì, così decidemmo di scappare in Libano. Il confine infatti non è molto lontano da Damasco e la famiglia di Milad poté trovare rifugio a Beirut. “ Siamo solo tre, entravamo in una macchina, così non abbiamo più indugiato e siamo fuggiti. Ci siamo portati via solo quello che avevamo addosso “ dicono, toccandosi i vestiti. Molti dei loro parenti sono sempre in Siria, esposti al pericolo costante, oppure emigrati. Chi in Svezia, chi in Bielorussia, chi in America, altri sperano di poter arrivare in Italia.

Mi ha colpito molto il fatto che, tra le cose di cui hanno più nostalgia, oltre agli affetti e l’aria di casa, hanno sottolineato a più riprese che ciò che hanno perso irrimediabilmente sono le radici. Nella conversazione, fra un po’ di italiano stentato e la traduzione dell’applicazione, mi dicono che le città siriane erano ricche di storia, di bellissimi monumenti, in particolar modo ricordano con piacere la zona di  Bab – Touma dove si stagliava anche un arco risalente all’epoca romana. “Voi, anche qui a Cascina, avete sempre della storia, vedete le vostre radici, anche Bologna, dove siamo stati, è ricca del vostro passato. Noi tutto questo non ce l’abbiamo più, per questa ragione non vogliamo tornare là, non c’è più nulla. Poi dobbiamo pensare anche al futuro di Sharbel e alla sua vita. La Siria era bellissima – dicono, facendo un gesto che indica un tempo lontano – era bella, sì.”

Adesso risiedono in via Simone da Cascina nel centro storico del nostro paese, in un appartamento che la Propositura di Cascina ha ricevuto in eredità. La signora Carolina Fogola, che ha accompagnato la famiglia Alkoury in radio dove abbiamo condotto l’intervista, mi spiega che l’accoglienza si basa su un contratto di reciprocità, diverso dal semplice assistenzialismo: chi ospita ha dei doveri come il sostegno e l’aiuto per le pratiche burocratiche, la fornitura di un alloggio, di un appannaggio e l’aiuto a cercare un impiego. Chi viene ospitato ha il dovere di imparare per prima cosa la lingua del paese di arrivo per poter poi inserirsi nella società. Il corso di lingua si tiene a Pisa ed è tenuto anch’esso dalla Comunità di S.Egidio: qui la famiglia Bousa ha incontrato altri due nuclei familiari siriani e si sentono già un po’ più a casa.

Nello studio della radio sullo schermo della TV passano le immagini di Parigi, Manchester e Londra ferite dagli ultimi recentissimi attacchi terroristici. “Qui ci sentiamo sicuri però “ – dicono sollevati. La famiglia di Naima, originaria di Al-Hasaka, ha perso molti membri della sua famiglia, fra cui un bambino di appena un anno, uccisi dai miliziani dell’ISIS. Prima di farli sparire per sempre, l’ISIS aveva chiesto dei riscatti, ma nonostante l’invio di denaro, non hanno avuto più notizie dei loro cari. L’effetto degli uomini dell’ISIS  è lo stesso che devono aver provato i nostri nonni quando cadevano prigionieri delle SS naziste: il terrore puro. Quando abbiamo pronunciato la parola Daesh gli occhi di Milad e Naima si sono come ghiacciati. Ci interrompe la voce triste di Sharbel – “è triste questa storia, basta” – così decido di terminare l’intervista. È giusto far conoscere, ma se c’è il rischio di riaprire ferite recenti, meglio fermarsi con le domande.

Naima e Milad sono cristiani, cristiana cattolica assira lei, cristiano ortodosso lui – “prima della guerra fra noi cristiani e i musulmani non c’erano assolutamente problemi, vivevamo in pace. Solo i terroristi uccidono le personedice Milad con sicurezza e orgoglio.

Ringrazio vivamente la Signora Carolina Fogola per la disponibilità e la mediazione con la famiglia Alkoury.

jacopo.artigiani