"Amazon a Pisa: sfruttamento rapace del territorio". L'attacco di Diritti in Comune
La forza di minoranza in consiglio comunale a Pisa, mette sotto la lente d'ingrandimento la multinazionale del commercio on line, sbarcata da poco con un deposito nell'area di Montacchiello
Per Diritti in Comune, la sede pisana di Amazon, non è un'occasione di sviluppo per la città, quanto più, l'ennesimo esempio di "sfruttamento rapace del territorio".
Scrive Diritti in Comune
Amazon apre infine il suo nuovo polo logistico di Pisa.
Le fanfare sono partite mesi fa, col Sindaco in gran spolvero che a maggio ha dichiarato: "La scelta da parte di Amazon, colosso mondiale dell’e-commerce, di investire per il proprio sviluppo in Italia su Pisa conferma e rafforza la vocazione di Montacchiello come area industriale e di servizi alle porte della città, con caratteristiche ottimali per lo sviluppo di nuovi insediamenti di carattere tecnologico e manifatturiero. Una vocazione coltivata dal Gruppo Forti nell’arco di 20 anni". E infatti l'area interessata è di proprietà della Forti Holding e copre circa 30 mila metri quadri. Insomma, da come l'ha presentata il Sindaco, l'operazione sembra essere quella di due grandi gruppi imprenditoriali che hanno uno sguardo lungo, in grado di cogliere l'occasione per un grande sviluppo della città. Ma questa presentazione è mistificante e fin troppo tendenziosa: Bezos e Forti con questa operazione sfruttano il territorio e le sue infrastrutture pubbliche per i loro profitti.
Infatti, a fronte della promessa di 100 posti di lavoro ci sono alcune importanti domande da porsi. Quali sono le prospettive di guadagno per Amazon? In quale paese pagherà le tasse? Che tipo di lavoro ci sarà? Quale sarà l’impatto ambientale del nuovo polo logistico? Chi pagherà i possibili danni ambientali e sociali che verranno determinati da questa operazione? E quanto e come sarà possibile davvero rimediare ad essi?
Le risposte sono più semplici di quanto si possa pensare ad un primo impatto: in tanti anni non si contano articoli e documenti da cui si evince quanto si sia arricchito Jeff Bazos e quanto importante sia il gruppo Forti in quest'area. Articoli e documenti che fanno anche chiaramente capire che Amazon “si appoggia” a paradisi fiscali, eludendo le tasse dei paesi in cui costruisce i propri profitti, finendo più volte nel mirino dell'Unione Europea e dell’antitrust. Articoli, documenti e denunce – su tutte quella di Amnesty International – sulle condizioni di lavoro inaccettabili dei e delle dipendenti, sottoposti a controlli sempre più stringenti da parte dell’azienda e a “minacce” su eventuali attività sindacali.
I danni sociali li pagherà quindi innanzitutto ogni persona impiegata in quell'azienda, sfruttata in condizioni di precarietà, senza diritti e tutele, ma anche un tessuto imprenditoriale alternativo che si vede sottrarre giorno dopo giorno ogni possibilità di sviluppo. E alla lunga li pagherà la cittadinanza, spogliata della propria ricchezza sociale ed economica come è già successo nel caso di altre multinazionali, dalla Carlo Colombo alla Ericsson.
I nuovi capannoni industriali andranno su un territorio già saturo, al di là di previsioni urbanistiche che troppo spesso non tengono adeguatamente conto delle fragilità ambientali. E gli impatti saranno a carico della comunità per definizione: in questo paese non si è mai fatto nulla perché non fosse così. Senza contare che i danni ambientali potrebbero essere irreversibili: il suolo è una risorsa naturale fondamentale per la vita sulla terra e ogni centimetro perso equivale a ecosistemi persi, produzione di cibo persa, vulnerabilità idro-geologica in crescita. Per produrre un centimetro di suolo in ambienti come i nostri servono 200-400 anni e per avere terreno fertile dalla roccia ne servono circa 3.000. Per questo il suolo è considerato una risorsa non rinnovabile.
Non ci sono motivazioni fondate, né vantaggi reali in termini di crescita occupazionale ed economica, per aprire le porte del nostro territorio all’ennesima multinazionale predatoria e senza scrupoli: perciò ci siamo subito opposti all’ennesima operazione di rapina del e nel nostro territorio.
Si può fare qualcosa di diverso? Sì, ormai ci sono diversi studi che lo dimostrano, e tra l'altro prodotti anche da ricercatori dell'Università di Pisa, questa sì vera grande risorsa della città.
Si può fare la scelta di un'economia locale che punti sulle eccellenze locali del tessuto imprenditoriale. Si può costruire un tessuto economico che abbia tra i propri presupposti la sostenibilità sociale e ambientale. Si può partire dalla ricchezza costituita dal nostro paesaggio, dal patrimonio culturale, dal recupero di vocazioni abbandonate con lo sviluppo industriale ma che oggi danno una nuova capacità di resa e l'occasione di una diversificazione fondamentale per la tenuta economica.
Si può. Ma si deve avere coraggio e visione. Ma questo è sicuramente mancato alle ultime amministrazioni della città.