Buti e Dante, un progetto tra Comune Università di Pisa
Il Comune di Buti, insieme alla Società Storica Pisana, PRIN Hypermedia Dante Network e al Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell'Università di Pisa promuove il progetto “Buti, Dante e il Culto di Dante”
In occasione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, al fine di celebrare le figure del Sommo Poeta e del suo autorevole commentatore trecentesco Francesco di Bartolo, noto come il Buti.
Buti, Dante e il culto di Dante. Cronache del Trecento, commenti danteschi, Maggi e cultura contemporanea
BASE DOCUMENTARIA E CONCETTUALE
Il nome di Buti è coinvolto in termini importanti in un passaggio significativo della vita di Dante e nei relativi brani del suo poema, in uno dei momenti più alti dell’esegesi dantesca del Trecento, in originali forme di riappropriazione popolare dei temi danteschi nei secoli XIX-XX e in esperienze teatrali e cinematografiche sviluppatesi recentemente, in riferimento a Dante e alla sua opera, sul piano italiano e internazionale.
• Nel canto XXXIII dell’Inferno, vv 29-30, si fa riferimento «al monte / per che i Pisan veder Lucca non ponno», mente nel c. XXI Dante richiama la sua esperienza personale (vv. 94-96:
«così vid’io già temer li fanti / ch’uscivan patteggiati di Caprona…») fatta durante gli attacchi che l’oste fiorentina e guelfa, condotta da Nino Visconti (cui il poeta era fortemente legato), portò a Pisa e ai Monti pisani nell’agosto 1289, in particolare, e in tutto quel giro di anni. Mentre nel Paradiso non vi sono personaggi pisani o direttamente legati con Pisa, tutte le personalità e i nomi propri pisani presenti nell’Inferno e nel Purgatorio sono collegati alle lotte politiche e militari svoltesi tra il 1285 e il 1293. Il conte Ugolino, l’arcivescovo
Ruggeri, capitano e podestà di Pisa dopo l’arresto di Ugolino, e Guido da Montefeltro (altro importante personaggio della Commedia), cui furono poi conferiti a Pisa pieni poteri, sono tutti all’Inferno. Nino Visconti, capitano e podestà di Pisa accanto al nonno materno Ugolino, cacciato dalla città il giorno prima dell’arresto del conte e rifugiatosi a Calci, è invece salvato in Purgatorio. Qui Dante colloca pure «quel da Pisa / che fé parer lo buon Marzucco forte» (Purgatorio VI 17-18) ossia Gano Scornigiani, alleato e parente del Visconti. Appunto Gano era capitano del castello di Buti, come indica una deliberazione dei consigli maggiore e minore di questo Comune dell’11 giugno 1286, e analogamente Mondasco Visconti figurerà come capitano del castello di Calci: si tratta infatti di un sistema di castelli controllato dai Visconti e/o dalla Lega Guelfa che garantiva a questa il controllo di un’area strategica per portare da Lucca e da Firenze attacchi contro Pisa. Gano Scornigiani sarebbe stato ucciso nel dicembre 1287 per mano degli ugoliniani, e forse dallo stesso nipote di Ugolino detto il Brigata. Proprio questa uccisione scatenò una rottura insanabile tra il partito ugoliniano e quello visconteo. Nel gennaio 1288 i due partiti entrarono a Buti in un conflitto armato che contrappose la parte del Castello e la parte del Borgo e che si risolse con la vittoria dei viscontei, appoggiati da truppe lucchesi. Il conflitto, trasferitosi nel cuore di Pisa, avrebbe portato il 31 giugno 1288 alla cacciata di Nino Visconti e il giorno dopo, 1 luglio, all’arresto del conte Ugolino con figli e nipoti, poi rinchiusi nella torre che avrebbe preso dalla loro terribile fine il «titol de la fame».
• Da Buti trae i natali, o almeno l’origine familiare e il cognome Francesco di Bartolo (o più spesso, nei documenti, Bartalo), alto magistrato del Comune di Pisa, grammatico conosciuto in tutta Italia, grazie specialmente alle sue Regulae grammaticales, e primo e in assoluto più importante commentatore trecentesco del poema di Dante in un volgare toscano; infatti Guido da Pisa e Benvenuto da Imola avevano usato il latino e il bolognese Lana un volgare padano; l’Ottimo fiorentino commenta tutto il poema in volgare, ma non verso per verso e parola per parola come fa il Buti, e Giovanni Boccaccio vide interrotta dalla morte la sua lettura dantesca. Il commento del Buti, tra la fine del Trecento e i primi lustri del Quattrocento, figura in sontuose copie manoscritte possedute dalle più importanti famiglie signorili (Gambacorti e Appiani di Pisa, Guinigi di Lucca, Visconti di Milano), da monasteri e da molte famiglie fiorentine; questi codici furono poi usati dall’Accademia della Crusca e si conservano oggi presso la Laurenziana, la Riccardiana e la Nazionale di Firenze, la Nazionale di Napoli, la Vaticana e molte biblioteche internazionali. Il commento butiano, per la sua completezza, articolazione esegetica e capacità di approfondimento linguistico è stato, nei secoli XIX e XX, e resta oggi un punto di riferimento imprescindibile per l’esegesi dantesca. Una tappa molto importante degli studi sul commento del Buti e sulla biografia dell’autore è il convegno che si tenne nel Teatro di Buti il 16 settembre 1984, per impulso di Francesco Danielli, e le cui più importanti relazioni (Ottavio Banti, Giorgio Varanini, Fabrizio Franceschini) si leggono, approfondite e ampliate, nel “Bollettino Storico Pisano”, LXIV, 1995.
• Per il particolare e intenso rapporto tra la più elevata tradizione poetica italiana e la cultura delle classi subalterne toscane, che indusse anche Antonio Gramsci a riflettere (nelle carceri fasciste) sui Maggi, il teatro popolare del Maggio, come in altre forme l’ottava rima, è divenuto insieme sede e strumento della riappropriazione popolare di tematiche e figure rese celebri da Dante. Al “pastore poeta” Pietro Frediani spettano il maggio La Pia dei Tolomei composta da Pietro Frediani l’anno 1852 in Buti […] e cantato l’anno 1852, come indica un manoscritto, e il Maggio del Conte Ugolino fatto da Pietro Frediani da Buti e copiato da me Giuseppe Paoli l’anno 1884, testi messi poi a stampa dalla Tipografia Sborgi di Volterra e ben diffusi in Toscana e sull’Appennino emiliano. Con modifiche anche significative,
questi due maggi di tema dantesco si ritrovano nelle copie manoscritte del capomaggio Angiòlo Bernardini. In particolare nel maggio Il Conte Ugolino, Opera teatrale in verso lirico, adattato alla scena da me Bernardini Angiolo di Buti l’anno 1900, tra i personaggi figura uno Scornigiani che finirà ucciso per mano del Conte Ugolino, a riprova delle frequentazioni erudite di un popolano poeta di alto profilo quale il Frediani.
• Dagli anni Settanta del secolo scorso a oggi questo intreccio tra Maggio, ottava rima e memorie dantesche ha coinvolto intellettuali, registi di cinema, uomini e donne di teatro, che hanno valorizzato e riplasmato quelle tradizioni. Paolo Benvenuti, cui si deve una memorabile Medea teatrale e cinematografica (1972) su testo del Frediani, in occasione del convegno-rassegna sui Maggi tenutosi a Pisa e Buti nel 1978, ha messo in scena il Maggio del Conte Ugolino con un gruppo di ragazzi delle scuole, come testimonia il cortometraggio Bambini di Buti del 1979. Mentre la compagnia del Maggio di Buti ha più volte rappresentato la Pia dei Tolomei, i membri della compagnia hanno preso parte alle produzioni teatrali di Dario Marconcini e in particolare a Un inferno del 2015, per la drammaturgia e regia di Marconcini, con brani del poema dantesco trasposti dalla terzina all’ottava rima da Enrico Pelosini. Jean-Marie Straub, che con Danièle Huillet aveva fatto della butese Valle del Seracino la sua sede elettiva, affidando al Teatro Francesco di Bartolo la statuetta del Leone d’oro conquistato a Venezia, ha messo in scena nel 2009, appunto nel Teatro di Buti, l’opera teatrale O somma luce, poi trasformata nel 2010 in versione cinematografica: un uomo (Giorgio Passerone) seduto su un aratro, recita i versi 67-145 del XXXIII del Paradiso, in un intreccio, scontro e incontro tra musica, parole di Dante e rumori del rio, tra alberi, nuvole e appunto luce, che segna in modo sublime, nelle parole di Straub, “la fine del paradiso terrestre”.