Dal Keu alla produzione conciaria biodegrabile?

Economia
PISA e Provincia
Lunedì, 31 Maggio 2021

Sviluppato da Archa il protocollo validato dal dipartimento di chimica e chimica industriale dell’Università di Pisa e verificato dall’ente di certificazione Certiquality che consentirà alle concerie di certificare la sostenibilità dei propri pellami

Restituire la pelle alla natura, riportando nell’ambiente un prodotto di origine organica che nasce come scarto dell’industria alimentare. È l’ultima frontiera nella sfida della sostenibilità che vede impegnate le aziende del settore conciario, determinate a chiudere il cerchio di un comparto che mai come adesso vuol portare dentro i prodotti un messaggio che parli di ambiente e circolarità. È la sfida per la biodegradabilità delle pelli, non più soltanto in acqua ma anche in compost, per dimostrare che una pelle conciata, se rispetta certi parametri, può essere “digerita” nel terreno e diventare nutrimento per piante e microrganismi. Un obiettivo che spesso è già realtà, ma che fino ad oggi mancava di dati certi e scientificamente dimostrati. Nasce da qui la ricerca condotta dai Laboratori Archa di Pisa, centro di eccellenza nel campo della chimica applicata, che ha recentemente messo a punto il primo disciplinare al mondo per misurare la biodegradabilità di pelle e cuoio. Un sistema validato dal dipartimento di chimica dell’Università di Pisa e certificato da Certyquality, che d’ora in poi consentirà al gruppo Archa - e agli altri laboratori che vorranno farsi accreditare - di rilasciare alle concerie un apposito marchio di biodegradabilità, agganciando ai propri pellami quella garanzia di sostenibilità che gli stessi brand di moda vogliono portare in vetrina.

Forte di una collaborazione di lungo corso con il distretto conciario toscano, Archa lavora stabilmente con altri laboratori e aziende del settore, offrendo anche consulenza a concerie e ditte di prodotti chimici sui temi della qualità, dell’ambiente e della sicurezza. Quello conciario però è soltanto uno dei tanti settori produttivi con cui il gruppo pisano, fondato nel 1989 da un team di professionisti chimici, è abituato a confrontarsi sviluppando progetti e soluzioni innovative pensate per un’immediata applicazione pratica, che vengono poi lanciate sul mercato attraverso apposite società del gruppo. Dal 2018, infatti, Archa è anche uno degli otto laboratori al mondo a poter vantare la certificazione Tuv Austria per lo studio e la misurazione della biodegradabilità delle plastiche.

Ed è proprio prendendo a modello le procedure usate per verificare le prestazioni delle cosiddette bioplastiche che i ricercatori di Archa hanno pensato di fare altrettanto con pelli e cuoio. "Perché il trasferimento tecnologico e la capacità di spaziare da un settore all’altro – dice Patrizia Turchi, vicepresidente di Archa - sono aspetti per noi fondamentali. L’obiettivo era fornire gli elementi tecnici e scientificamente inattaccabili per tenere in piedi il messaggio di sostenibilità che le concerie vogliono agganciare ai loro prodotti. Così ci siamo documentati, accorgendoci che la norma Uni per il settore parla soltanto di biodegradabilità in acqua, relativamente ai residui di pelle presenti nei reflui conciari destinati a depurazione. Noi abbiamo provato ad andare oltre, per verificare cosa succede a una pelle finita se la mettiamo nel compost industriale, simulando le stesse condizioni di un’azienda di smaltimento".

Così, grazie al conseguimento di un apposito finanziamento e con la collaborazione di una conceria di Santa Croce sull’Arno, Archa ha messo a punto il protocollo per testare la degradabilità di una pelle conciata, stabilendo criteri e procedure del test, ma anche i parametri da rispettare per potersi definire davvero biodegradabile. "Insieme all’Università di Pisa e sulla base della letteratura in merito – spiega Turchi - abbiamo stabilito che per essere accettabile una pelle deve risultare biodegradabile al 90% in acqua e all’80% in compost". Alla base deve esserci ovviamente una pelle o un cuoio a basso contenuto di metalli: solo così si può dare inizio a un test che, nel caso del compost, richiederà sei mesi di tempo. Sei mesi nei quali la pelle viene sminuzzata e messa a macerare, misurando ogni giorno l’anidride carbonica prodotta dal processo di digestione. Il compost ottenuto verrà poi setacciato e usato per far crescere delle piantine, che saranno a loro volta analizzate per verificare che non risultino tossiche.

Al termine del test, attraverso una società creata appositamente e denominata Techa, il gruppo Archa rilascerà un marchio registrato di biodegradabilità alle concerie che vorranno far misurare le prestazioni dei propri pellami. L’ente di certificazione Certyquality, che ha verificato e approvato il protocollo, avrà il compito di ispezionare le concerie ai fini dell’ottenimento del marchio. Per le aziende si tratta di una novità inedita, capace di aggiungere alla qualità delle produzioni una sostenibilità per la prima volta sorretta da dati certi e dimostrabili. Una novità che andrà a vantaggio di tutto il settore conciario, attraverso un protocollo che adesso non resterà “chiuso” nei laboratori di Archa ma che potrà essere esteso e condiviso a tutti i laboratori che vorranno farsi accreditare da Techa, mettendo a disposizione del comparto una metodologia che rafforzerà la dimensione ecologica e sostenibile di un settore determinato a cambiare passo.

redazione.cascinanotizie