Il rock come la classica, studio dell'Università di Pisa

Cultura
PISA e Provincia
Lunedì, 2 Marzo 2020

Al primo grande concerto nella storia del rock, il Monterey Pop Festival in California del 1967, le ragazze e i ragazzi ascoltarono l’esibizione in silenzio, seduti e concentrati, al più dondolando dolcemente la testa o sorridendo estatici.

Si tratta di una novità assoluta: il loro comportamento, per certi versi sorprendente, era molto simile al modo di fruire la musica classica da parte dei loro nonni e genitori. 
A raccontare la vicenda tratteggiando questo insolito parallelo è il professore Alberto Mario Banti dell’Università di Pisa in un saggio pubblicato sulla rivista “Biblioteca teatrale”. Nello studio Banti analizza performance e ritualità di pubblico e musicisti agli albori del rock, tra anni Sessanta e Settanta del Novecento. 

“Per la musica pop, specie per quella rivolta al pubblico giovanile – spiega Banti – la modalità di ascolto che si palesa a Monterey è una novità rispetto al passato, nei concerti di Elvis Presley o dei primi Beatles i giovani infatti partecipavano con applausi, grida, danze, risa e pianti, in particolare le ragazze, quasi come una affermazione generazionale e di genere”.
Secondo Banti il nuovo comportamento del pubblico è da ricercare in quei mutamenti della musica pop che segnarono proprio la nascita del rock, quindi forme musicali più complesse, brani che superavano i canonici tre minuti e testi che affrontavano temi più svariati con ricercatezza poetica (come nel caso Bob Dylan è oramai istituzionalmente riconosciuto). 

Per illustrare questa nuova e particolare modalità di ascolto, il saggio esplora quindi due aspetti degli eventi live. Da un lato gli stili performativi dei musicisti sul palco che, attraverso forme di teatralizzazione abbozzata o integrale, enfatizzavano il significato etico-narrativo delle loro musiche. Dall’altro la natura rituale dei concerti rock che, come in un peculiare rito di passaggio, spingevano i partecipanti verso una nuova communitas contro-culturale. E tuttavia questo modo di sentire il rock, come se fosse musica classica in cui si andava ai concerti per ascoltare e capire, fu una parentesi breve. 
Negli anni Settanta – conclude Banti ritornano altre modalità di fruizione, si va ai concerti non per ascoltare, ma per sentirsi parte di un flusso, irrompe il ‘proletariato giovanile’ che protesta contro il prezzo dei biglietti e la remota lontananza delle star del rock, l’atteggiamento disattento nei confronti della musica è inoltre imposto da altre mode che si stanno affermando come la disco music o il punk. Ma non c’è naturalmente nessuna valutazione positiva o negativa rispetto a questi fenomeni, si tratta solo di constatarne l’esistenza, di interpretarli e studiarli”.
 

luca.doni