Il rock come la classica, studio dell'Università di Pisa
Al primo grande concerto nella storia del rock, il Monterey Pop Festival in California del 1967, le ragazze e i ragazzi ascoltarono l’esibizione in silenzio, seduti e concentrati, al più dondolando dolcemente la testa o sorridendo estatici.
Si tratta di una novità assoluta: il loro comportamento, per certi versi sorprendente, era molto simile al modo di fruire la musica classica da parte dei loro nonni e genitori.
A raccontare la vicenda tratteggiando questo insolito parallelo è il professore Alberto Mario Banti dell’Università di Pisa in un saggio pubblicato sulla rivista “Biblioteca teatrale”. Nello studio Banti analizza performance e ritualità di pubblico e musicisti agli albori del rock, tra anni Sessanta e Settanta del Novecento.
“Per la musica pop, specie per quella rivolta al pubblico giovanile – spiega Banti – la modalità di ascolto che si palesa a Monterey è una novità rispetto al passato, nei concerti di Elvis Presley o dei primi Beatles i giovani infatti partecipavano con applausi, grida, danze, risa e pianti, in particolare le ragazze, quasi come una affermazione generazionale e di genere”.
Secondo Banti il nuovo comportamento del pubblico è da ricercare in quei mutamenti della musica pop che segnarono proprio la nascita del rock, quindi forme musicali più complesse, brani che superavano i canonici tre minuti e testi che affrontavano temi più svariati con ricercatezza poetica (come nel caso Bob Dylan è oramai istituzionalmente riconosciuto).
Per illustrare questa nuova e particolare modalità di ascolto, il saggio esplora quindi due aspetti degli eventi live. Da un lato gli stili performativi dei musicisti sul palco che, attraverso forme di teatralizzazione abbozzata o integrale, enfatizzavano il significato etico-narrativo delle loro musiche. Dall’altro la natura rituale dei concerti rock che, come in un peculiare rito di passaggio, spingevano i partecipanti verso una nuova communitas contro-culturale. E tuttavia questo modo di sentire il rock, come se fosse musica classica in cui si andava ai concerti per ascoltare e capire, fu una parentesi breve.
“Negli anni Settanta – conclude Banti – ritornano altre modalità di fruizione, si va ai concerti non per ascoltare, ma per sentirsi parte di un flusso, irrompe il ‘proletariato giovanile’ che protesta contro il prezzo dei biglietti e la remota lontananza delle star del rock, l’atteggiamento disattento nei confronti della musica è inoltre imposto da altre mode che si stanno affermando come la disco music o il punk. Ma non c’è naturalmente nessuna valutazione positiva o negativa rispetto a questi fenomeni, si tratta solo di constatarne l’esistenza, di interpretarli e studiarli”.