Io turista del G8. Un diario del Social Forum di Genova
Due amici poco più che ventenni a spasso nella città devastata dagli scontri e dai saccheggi. Un viaggio iniziato con la speranza di partecipare all'evento più importante, finito con la paura e la voglia di scappare da un'esperienza irreale
A venti anni dall'evento che spezzò il Movimento no-global, sono tornato indietro nel tempo, alla Genova del 2001 e al ragazzo che insieme all'amico più fidato, intraprese un viaggio carico di significati e aspettative.
L'importante, per noi, era essere lì. Per testimoniare la nostra speranza in qualcosa di diverso e per continuare a dire a chi era rimasto a casa, che un altro mondo, più equo e sostenibile, sarebbe stato possibile.
VENERDÌ 20 LUGLIO 2001
Nel 2001, a 22 anni non compiuti, ero ancora un ragazzo. Poco accorto della vita, ma ne facevo parte, senza filtri. Partimmo per Genova, io e il mio più caro amico, a bordo della Ford P100 Californian di mio padre, che in quel periodo, a volte, avevo il permesso di usare.
Il viaggio si era da subito presentato difficile. Le notizie in arrivo dalla radio non annunciavano nulla di buono. Quindi, dati i posti di blocco sulle autostrade e sulle maggiori vie di comunicazione, pensati proprio per respingere i possibili arrivi nel capoluogo ligure, decidemmo di uscire dalla A12 (non ricordo bene dove) e di utilizzare percorsi alternativi.
Tra strade trafficate e tante curve, dopo ore di viaggio, arrivammo a Genova il pomeriggio di venerdì 20 luglio, intorno alle 17. Parcheggiammo la macchina all’altezza dello Stadio Sciorba (dove erano stati montati dei tendoni collettivi) e da lì, dal nostro campo base, ci incamminammo lungo il Torrente Bisagno, per il centro città.
La cosa che ricordo con certezza è che essere lì, era importante. Per tanti motivi. Anche per tutto il tam tam mediatico che aveva avvelenato i mesi precedenti al G8 di Genova, contro le politiche di Berlusconi, per sostenere il Movimento, per dire no alle botte di Napoli e agli spari di Goteborg. Perché eravamo calati in una realtà che spingeva in quella direzione.
Altra certezza, anche nella più piena incoscienza, era che il G8 di Genova sarebbe passato alla storia. Volevo farne parte in prima persona. Come testimonianza e per poter dire, un giorno, io c’ero.
Non avevamo notizie in tempo reale e il primo impatto con Genova fu con il sotto passo ferroviario di Corso Torino.
Ricordo un poliziotto infuriato in tuta antisommossa che ci fece passare (solo dopo scoprimmo che proprio lì, a distanza di pochi minuti, era accaduto lo scontro tra carabinieri e Tute Bianche). Superata la zona d’ombra della struttura, lo scenario cambiò radicalmente e in un attimo ci ritrovammo in piena guerra.
Non uso questa parola a caso. A terra, tutto attorno a noi, c’erano cumuli di detriti: sassi, bossoli di lacrimogeni che non avevo mai visto prima, pezzi di protezioni dei manifestanti. E poi una camionetta bruciata e la sensazione di essere finiti in qualcosa di spaventoso.
Il nostro giro per Genova proseguì seguendo il fantasma della manifestazione. Dove arrivavamo, eravamo sempre in ritardo. La città, devastata, era stata saccheggiata in alcuni supermercati, molti i bancomat distrutti e poi, ancora, vetrine dei negozi sfondate e cani sciolti a caccia di occasioni.
Proseguendo, sempre senza informazioni, da soli in mezzo alla fine del mondo, ci ritrovammo in uno slargo, Piazza Alimonda. Carlo Giuliani era ancora a terra, morto, ma non sapevamo nulla di quello che era accaduto. Ricordo il cordone della celere a difesa del corpo. Ricordo l’assembramento di giornalisti italiani e stranieri in un punto ben definito e ricordo le urla delle persone, che gridavano contro le forze dell’ordine ogni genere di offese. Ricordo anche la disperazione e le lacrime. Passato qualche minuto, comunque, proseguimmo il nostro percorso, trovammo un’auto carbonizzata in via Tolemaide e arrivammo lungo la massicciata ferroviaria di Corso Aldo Castaldi.
Sperduti, in mezzo ai detriti alti almeno qualche centimetro lungo tutta la carreggiata. Intorno a noi era davvero il caos, con elicotteri che volavano a bassa quota, pezzi di vita lasciati a terra dai manifestanti e file di mezzi blindati della polizia e dei carabinieri, che ad un certo punto, ricordo, discesero la strada incolonnati, a sirene spiegate, a caccia di manifestanti da neutralizzare.
Va detto, a questo punto, che oltre ad essere molto giovane e senza una vera ragione per essere lì, mi ritrovai con il mio amico in una situazione al limite del reale. Era tutto molto bizzarro, sia per i nostri occhi che per la nostra conoscenza del mondo. Ma forse, solo poche persone potevano dire di avere già vissuto circostanze simili. Elicotteri ne avevo visti, sì, ma mai così da vicino. Camionette della polizia ne avevo viste, anche in azioni di ordine pubblico, ma mai avevo avuto a che fare con colonne di mezzi blindati, auto incendiate, vetrine distrutte e detriti da guerriglia in ogni dove.
Proseguimmo il nostro tragitto sempre più convinti che fosse arrivato il momento di rientrare al campo base.
Sulla nostra sinistra trovammo una scalinata che permetteva di superare la ferrovia e fatte alcune centinaia di metri, un signore, affacciatosi da una casa di via Tripoli, ci disse qualcosa d’inquietante: una promessa di aiuto forse, oppure dei consigli, non capii bene. Qualcosa circa i disordini e la possibilità di scappare da quella zona.
Mi riscoprii per la prima volta davvero allarmato, quasi un fuggitivo, ma la verità, lo ammetto, è che non sapevo da che cosa dovevo scappare. Il terrore e la paura iniziavano a farsi largo.
Dall’altra parte del tracciato ferroviario il contesto era simile al precedente, anche se qua, in via Giovanni Torti, non c’erano detriti a terra, ma manifestanti che fronteggiavano in guerriglia le forze dell’ordine. Cassonetti messi in mezzo alla strada, sassi lanciati a ripetizione e credo dei ragazzi spagnoli (o perlomeno parlavano spagnolo), che si nascondevano tra una sassaiola e l’altra tra le macchine parcheggiate.
Finì così il nostro primo giorno al G8 di Genova, non saprei dire a che ora riuscimmo a lasciare il centro della città e a ritornare allo Stadio Sciorba, dovevamo percorrere almeno quattro chilometri a ritroso. Arrivati che già era buio, trovammo un posto per la notte tra persone che ridevano, festeggiavano e riposavano in vista della grande manifestazione del giorno dopo.
Molto era già successo, molto altro ancora sarebbe dovuto accadere.
SABATO 21 LUGLIO
Ci risvegliammo la mattina con le notizie di un ragazzo morto, spagnolo. Non avevamo certezze di nulla, facemmo colazione e decidemmo di tornare in centro per la manifestazione. Punto di partenza, l’inizio di Corso Italia.
La giornata era di sole pieno e la moltitudine di persone di ogni estrazione, cultura e religione, brillava di gioia e luce propria. Niente riportava il pensiero ai fatti del giorno prima.
Facemmo il percorso tra musica e balli, ad un certo punto, però, tutto ripiombò nel caos e per nostra fortuna, ancora una volta, il “G8 delle violenze” ci sfiorò solamente. Quando gli scontri con la polizia iniziarono, infatti, eravamo già a poche centinaia di metri da Piazzale Kennedy, punto di confluenza e centro logistico della manifestazione. Anche in questo caso, quindi, ci ritrovammo come dei turisti della Storia: protetti e all’oscuro di tutto quello che stava accadendo in altre zone della città.
Ricordo un palazzo lì vicino, sotto aveva dei negozi. Ricordo persone che sfondavano le vetrine con un palo e che appiccavano le fiamme.
Da quella situazione, in cui eravamo sempre più prigionieri della paura, riuscimmo a cavarcela con l’aiuto di alcuni avvocati volontari del Genoa Social Forum.
Indosso avevano una pettorina gialla e senza il loro supporto “sarebbe stato impossibile lasciare la zona”. Il pericolo c’era ed era rappresentato dalla possibilità di essere fermati e prelevati dalle forze dell’ordine impegnate in veri e propri rastrellamenti. L’obiettivo, se volevamo cavarcela, era non farsi prendere. Il timore era tanto e alla fine lasciammo Piazzale Kennedy in comitiva, accompagnati proprio da questi avvocati.
Non ricordo come proseguì la nostra giornata, tutto, a questo punto, nella mia memoria diventa confuso.
Rammento però una scena ben precisa, quella che forse mi ha più segnato del G8 di Genova.
Io e il mio amico in macchina, lungo l’autostrada che guarda la città da lontano, dall’alto. Ricordo il sole al tramonto e il mare. Ricordo la zona di Piazzale Kennedy e il fumo leggero che si alzava dal palazzo in fiamme. Ricordo la sensazione di averla scampata bella, la voglia di tornare a casa e di scappare, dalla paura.
Alcune della foto allegate sono tratte da wikipedia Fatti del G8 di Genova. La foto in Piazza Alimonda è stata scattata durante il viaggio fatto a Genova nel 2011, nel decennale del G8
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