Incubo coronavirus, cascinesi prigionieri della burocrazia
Da 21 giorni è negativo al tampone ma nessuno rilascia il certificato che pone fine alla quarantena. Un uomo "prigioniero" nella propria casa
È disperata Sara nel momento in cui decide di rivolgersi alla nostra redazione per raccontare la vicenda kafkiana che ha coinvolto la sua famiglia. È una storia di Covid-19 questa, ma se non ci sono problemi di salute gravi, ci sono però e tanti, problemi di natura burocratica, la catena che dovrebbe considerare guarita una persona contagiata si è spezzata e non c’è al momento nessuno in grado di riallacciarla.
Così il padre di Sara, positivo, insieme alla moglie, al coronavirus dal 31 agosto scorso ad oggi non può dirsi guarito, nonostante i sintomi della malattia siano, per fortuna spariti da tempo e l’ultimo tampone negativo. «I miei genitori sono risultati positivi il 31 agosto, racconta Sara. Abbiamo tutti fatto regolare quarantena ma non senza intoppi. Giusto per portare un esempio io e il mio ragazzo siamo stati a casa 10 giorni prima che ci venisse fatto il tampone e non sapevamo nemmeno cosa dire a lavoro perché non avevamo in mano niente, nessun certificato e nessuno ha saputo dirci cosa fare o quando farlo fino al venerdì seguente in cui ci hanno detto di andare a fare il tampone il giorno dopo». Insomma un limbo in cui non si è malati si deve stare in casa, ma il datore di lavoro non ha un certificato che giustifichi l’assenza.
«I risultati del tampone fatto il sabato sono arrivati la settimana dopo, continua Sara, per fortuna entrambi negativi. Le cose sono andate diversamente per i miei genitori e per mio nonno, tutti e tre positivi dal 31 agosto scorso. Da un punto di vista medico, per fortuna, hanno avuto sintomi molto lievi per una giornata e poi più niente, sono in buona salute ma anche completamente abbandonati». E qui Sara prova a raccontarci come ci si sente a sbattere contro il muro di burocrazia della sanità pubblica.
«Numeri verdi e call center sono talmente inutili da essere un insulto, dice Sara. Una persona che ha bisogno di tornare a lavorare è stata abbandonata come migliaia di altre. Il nuovo DPCM che accorcia la quarantena obbligatoria pare lo abbiano ricevuto tutti tranne quelli che dovrebbero occuparsi di dichiarare guarite le persone. A mio padre sono state fatte pesanti pressioni per rientrare a lavoro perché appunto lui rientra tra chi non ha più avuto sintomi da (ben più) di 21 giorni. Ha avuto il tampone negativo cinque giorni fa ed ha provato a chiamare per avere informazioni per tornare al lavoro ma nessuno ha potuto, o meglio voluto, dare loro una risposta. Vengono fornite solo informazioni sbagliate e parziali, tanto la prossima volta che qualcuno chiamerà uno di quei numero risponderà qualcun altro che darà le stesse informazioni parziali o non risponderanno direttamente». Sara è fra lo scoraggiato e l’arrabbiato. Nonostante il tampone negativo c’è un corto circuito con la Usl che dice di rivolgersi al Dipartimento di igiene e quest’ultimi al medico di famiglia, nessuno però da il via libera all’uomo che così resta “prigioniero” nella sua casa, anche perché dovesse uscire rischia una multa molto salata.
«I miei genitori sono stati estremamente pazienti, sono persone incredibilmente gentili ed è per questo che penso siano state direttamente abbandonate, prosegue Sara con il raccontare la sua vicenda. Mia madre e mia zia hanno una gastronomia di recente apertura, adesso io sto lavorando lì al posto di mia madre nonostante stia svolgendo anche il mio normale lavoro, mio fratello minorenne vive fuori dalla sua casa da un mese e mi sto occupando di lui in tutto. Sono disperata, io ho appena 23 anni, e un carico che giorno dopo giorno è sempre più pesante. Se il nuovo DPCM accorcia chiaramente le procedure di quarantena per chi non ha mai avuto sintomi o comunque non lo ha da 21 giorni perché chiunque loro chiamino si ostina a dire che "non può fare niente al riguardo"».
«Oggi mia madre ha confidato all’operatrice del call center che ha recentemente investito nel suo negozio e che se avrà difficoltà a pagare le bollette, la "signora" al telefono le ha risposto: "Sa quanta gente ci sta alla Caritas signora cosa me ne dovrebbe fregare a me"», una risposta che lascia sconcertati.
«C'è un disinteresse imbarazzante da parte di chi si dovrebbe occupare di tutte le persone in quarantena come i miei genitori. Siamo stati tutti fin troppo pazienti, nessuno ha mai avanzato pretese di nessun tipo, ad oggi mio padre è addirittura negativo e, anche se dovrebbe ormai bastare solo un tampone per confermarlo, come da nuovo DPCM, lui ha ancora il divieto assoluto di uscire, davvero ci sentiamo solo presi in giro. Nessuno ci ascolta io sono disperata», è la conclusione del racconto di Sara.