Quando si attaccavano i manifesti
Oggi domina la campagna social, così i pannelli elettorali restano desolatamente vuoti
Cambiano i tempi, cambiano modi ed abitudini di fare campagna elettorale. Chi ha vissuto a cavallo fra la prima e la seconda repubblica se ne accorge molto bene ed un simbolo di questo cambiamento è rappresentato dai pannelli per le affissioni elettorali desolatamente spogli. Erano gli anni 70 e 80 quando gli spazi riservati sia ai partiti che ai candidati pullulavano di colori e simboli di partito, raramente cambiavano di tornata elettorale in tornata elettorale e senza slogan troppo elaborati, senza gli sforzi di uno studio pubblicitario, recitavano semplicemente “Vota, seguito dal partito in questione”.
Oggi la storia è diversa, la campagna elettorale 2.0 è “scesa in campo” e i cari vecchi manifesti elettorali, ma anche gli striscioni che attraversavano le strade non hanno più l’appeal di un tempo, oggi la “comunicazione”, termine più smart per definire la campagna elettorale, si fa sui social network e la partita si gioca in rete. Dopo una stagione, molto breve, fatta di sms, partiti e candidati concentrano oggi tutti i loro sforzi su Facebook, X, Instagram e TikTok, un social per tutti i gusti e per ogni fascia di età. Lo stesso slogan, la stessa grafica da un social all’altro cambia completamente target e tipologia di commenti. Se su Facebook la campagna più aggressiva della Lega trova spesso commenti positivi e di sostegno, la stessa su Instagram e su X trova commenti soprattutto critici. Questa regola vale anche per gli altri partiti e movimenti che sollevano consensi più o meno ampi in base alle fasce di età.
Il comune denominatore però è che con un click, comodamente seduti alla scrivania, i responsabili dei vari comitati elettorali possono raggiungere centinaia di migliaia di persone con un post realizzato in casa ed al costo di una inserzione che parte da 10 centesimi di euro, fino a salire in base ai giorni e al bacino di utenza che si vuole incontrare. Tutti fattori questi che hanno contribuito a soppiantare i vecchi manifesti elettorali, molto più costosi e che richiedevano uno sforzo non di poco conto. Qui i volontari si dovevano armati di secchio, pennello e colla e automuniti andare a fare il “lavoro sporco” stando ben attenti a rispettare gli spazi assegnati per non scatenare le proteste degli avversari politici. Non mancavano poi gli episodi vandalici con manifesti strappati o deturpati, insomma un lavoraccio che neanche lontanamente raggiunge poi gli obiettivi, anzi i target come piace dire oggi, delle campagne moderne a mezzo social.
Allora nel vedere quei pannelli desolatamente spogli con solo qualche manifesto qua e la, retaggio di partiti e candidati un po’ nostalgici viene da chiedersi perché, perché ancora oggi nel XXI secolo non ci si adegua al nuovo corso e si manda in pensione i vecchi pannelli, il che comporterebbe anche un certo risparmi economico per i comuni. Il motivo è semplice: la macchina statale non corre quanto la tecnologia, la legge non cambia e così si deve rispettare alla lettera le norme che regolano la propaganda elettorale, emanate addirittura nel 1954 e modificate nel 1975. Queste prevedono, fra le altre cose, che i comuni assegnino gli spazi a liste e candidati fra il 33° e il 31° giorno precedente alle consultazioni elettorali. Gli spazi, che vengono numerati e divisi, sono riservati ai partiti, ai candidati alla Camera, a quelli al Senato e, nel caso di contemporanee elezioni amministrative, anche a quelli locali.
La legge definisce anche le dimensioni degli spazi da allestire, che variano in base alla popolazione dei comuni, e soprattutto il numero: da 1 a 3 per comuni o frazioni fra i 150 e i 3.000 abitanti, da 500 a 1.000 per città sopra il milione di abitanti, più tutta una serie di livelli intermedi. Ognuno di questi elementi deve prevedere spazi sufficienti per tutte le liste e per i candidati: servono, con una certa approssimazione, una cinquantina di riquadri alti 1 metro e larghi 70 centimetri.
Il grimaldello per scardinare abitudini ormai superate sarebbe una riforma della propaganda politica che possa anche andare a regolare il così detto silenzio elettorale, anche esso superato dai tempi: anche qui i social operano in un territorio franco dove tutto e consentito impossibile da controllare, così anche i tradizionali comizi sono ormai stati vinti, da “reels”, videomessaggi e presenza costante alla ricerca di un voto in più.