Profughi della Tinaia ospiti di Punto Radio

Cronaca
Politica
Cascina
Mercoledì, 18 Maggio 2016

Ancora troppe polemiche, troppe diffidenze non giustificate, pregiudizi nei confronti dei 32 profughi ospiti presso i locali della Tinaia a Chiesanova-Santo Stefano a Macerata. Nessuno perrò, sino ad ora, si è preoccupato, di ascoltare la loro voce, le loro storie, sapere chi sono, cosa vogliono, perché sono fuggiti dai loro paesi d'origine. Persone spesso molto giovani, pacifiche che vogliono soltanto cercare un futuro per loro e se possibile per i loro cari. Ci abbiamo provato noi, portande tre di loro negli studi di Punto Radio a raccontare chi sono. Tre ragazzi, giovanissimi, accompagnati dalla mediatrice Maria Elena Crescentini, ci hanno aperto al loro mondo. Abdullai proveniente dal Gambiadi 20 anni, Ibrahima e Foday, fratelli di 18 e 17 anni, dalla Guinea. "Al mio villaggio sono iniziate lotte all'interno della mia grande famiglia su chi doveva diventare il nuovo capo del villaggio, tra mio padre e suo fratello maggiore. Praticamente rischiavo la vita. Ho lasciato mia moglie ed un figlio e sono scappato nelle foreste al confine con il Senegal per poi partire verso la Libia dove sono rimasto otto mesi, un po’ ho lavorato come muratore che è il mio mestiere e tre mesi nell dure prigioni libiche tra fame e rischio pestaggi”, ci racconta Abdullai, “Sono giunto in Italia con il barcone nel luglio 2015 e ad oggi non ho ancora avuto una risposta sul mio futuro. In Italia mi trovo bene ma vorrei poter programmare la mia vita, sapere qualcosa, intanto gioco in una squadra di calcio a Pisa e il resto del tempo lo passo in questo posto (la Tinaia), è bello, ma non capisco perché tutti i giorni ci sono persone che vengono davanti a protestare. Io sono venuto in pace, vorrei poter dialogare con tutti, non sono venuto per fare del male, vorrei poter vivere in pace, sono un essere umano come tutti gli altri.” Parole semplici dette in un inglese perfetto (sfido tanti italiani a fare altrettanto) come nel francese perfetto ed anche in inglese universitario ci raccontano i fratelli Ibrahima e Foday: “Sono scappato insieme a mio fratello perché rischiavamo anche noi di morire, molti problemi in famiglia. Nostro padre è poligamo e noi siamo nati da una madre che praticamente non abbiamo mai conosciuto, lui si è nuovamente sposato ed ha fatto un altro figlio. Alla morte di nostro nonno sono iniziati i guai, In pratica ci volevano eliminare. Siamo prima fuggiti a Bamako in Mali, da lì a Gao e poi in Niger da cui abbiamo preso la strada del deserto del Sahara per giungere in Libia e cercare di imbarcarci. Siamo arrivati da poco più di un mese. Abbiamo entrambi studiato, siamo diplomati e abbiamo iniziato e quasi finito l’università per una laurea in diritto io e in lingue mio fratello minore Foday.”, così raccontano i due “ragazzini” della Guinea. Alla Tinaia si trovano bene, tutti e 32 i profughi hanno fatto amicizia nonostante diversità culturali, di religione e di scolarizzazione. “Siamo molto diversi tra di noi, ma abbiamo subito fraternizzato, ci sono alfabetizzati e analfabetizzati, noi che siamo più istruiti cerchiamo di dare una mano agli altri, dobbiamo aiutarci tra tutti, siamo tutti essere umani e vorremmo anche poter incontrare le persone che abitano qua da noi, non capiamo la loro rabbia, non facciamo niente di male e a volte abbiamo anche un po’ di paura quando vengono a protestare davanti alla Tinaia, perché?”. Le parole di queste persone dovrebbero insegnare ai tanti che continuano in assurde battaglie contro il loro arrivo che non c’è proprio niente di cui aver timore, tutt’altro, dopo quello che si è visto in questi giorni e durante la seduta dell’ultimo Consiglio Comunale c’è da avere paura di chi fomenta l’odio  e il conflitto, la cattiveria di una persona contro un’altra. Un discorso giusto è da intavolare su questioni di informazione, comunicazione adeguata o meno sul loro arrivo, sulla regolarità delle varie autorizzazioni, su quello che burocraticamente si vuole. E lo abbiamo già scritto e detto, ma adesso questa insensata rabbia non la comprendo più e personalmente non la posso giustificare. Questi ragazzi, questi profughi hanno invece molto da insegnarci e tanti ignoranti dovrebbero andare a scuola da loro ad imparare il valore della fraternità, fratellanza, misericordia, accoglienza, come la volte chiamare fa lo stesso. Un uomo che ha perso la vita in Palestina, Vittorio Arrigoni, disse “restiamo umani”. 

luca.doni