Quando il processo sommario cavalca il razzismo

Sport
PISA e Provincia
Giovedì, 24 Dicembre 2020

In queste ore Michele Marconi è il mostro da sbattere in prima pagina. Questo tipo di informazione nuoce anche alla stessa lotta al razzismo

Catene. Simbolo universale di costrizione. Se riesci a infrangerle sei libero. Ma libero da cosa? È questa la domanda che mi ronza in testa da martedì sera.

"La rivolta degli schiavi". Sarebbe questa la frase che Michele Marconi ha rivolto a Joel Obi a fine primo tempo di un Pisa - Chievo che avrebbe dovuto essere ricordato quale bel match di un campionato di serie B sempre più avvincente e che invece rischia di passare alla storia quale partita della vergogna. La vicenda è nota e, per certi versi, prevedibile: il Chievo si lamenta, i suoi calciatori si indignano di fronte alle telecamere, la società clivense accusa, il Pisa difende il proprio tesserato. Ripeto, fin qui tutto relativamente normale.

Il fastidio nasce nel momento in cui la vicenda rimbomba a livello nazionale su giornali e televisioni, perfino su media che mai si interessano di serie B. L'importante è sbattere il mostro in prima pagina, possibilmente prima degli altri in modo da fare lo scoop (di sto cazzo mi verrebbe da aggiungere, ma soprassediamo...). Assolutamente noncuranti del fatto che il mostro ha un nome ed un cognome, ha una moglie e due splendidi figli, nonché una carriera alle spalle che parla per lui e già da sola basterebbe a qualificarlo.

Noncuranti del fatto che questo fantomatico insulto, alla fine della fiera, lo hanno udito solo i giocatori del Chievo: non c'è di questo rilevanza alcuna né nel referto del direttore di gara né tantomeno nelle registrazioni televisive. Ma ormai il dado è tratto: lo spettatore occasionale esterno alla vicenda ascolta piangere in TV Garritano e Giaccherini, legge il processo sommario senza possibilità di difesa al calciatore neroazzurro, bolla Michele Marconi quale razzista e va a rimpinzarsi di dolci natalizi con la coscienza a posto. E vai.

Ecco quindi che le catene spezzate di si parlava all'inizio come per magia rinascono e ci inchiodano al suolo. Ma non si tratta più della schiavitù legata al razzismo, quella di Amistad e di Radici, quella che tutti noi conosciamo e che abbiamo imparato a ripudiare fin da bambini. Questa schiavitù è più sottile e riguarda il nostro intimo, legata a doppio filo ad un perbenismo di maniera che troppo spesso si confonde con la morale da quattro soldi. Quando si gioca a calcio non si contano madri meretrici, sorelle da lupanare e vilipendi contro tutti i santi del calendario; ma tutto ciò non fa notizia e viene addirittura tollerato di buon grado. Ma appena si sfiorano argomenti tabù apriti cielo: la gogna mediatica è immediata e spietata, ti tritura, ti infanga, ti sporca fuori e dentro, ti lascia nudo sulla pubblica piazza esposto al pubblico ludibrio.

Ecco perché quello che è successo in queste ore a Michele Marconi ci disgusta: colpevole oltre ogni ragionevole dubbio soltanto perché l'argomento in questione non ammette repliche. Però fa vendere i giornali, da aumentare i click, fa alzare lo share. Fa incredibilmente fashion, in una società incancrenita nel vizio ma protetta da una grigia patina di perbenismo di maniera. Michele Marconi non ha certo bisogno della nostra arringa: ha una società forte alle spalle che lo protegge, compagni di squadra che lo rispettano, una famiglia che lo ama.

Alla fine ci accorgiamo di essere noi quelli che hanno davvero bisogno, desiderosi di affrancarsi da un mondo dove si cavalca il fulmine del momento per ottenere vantaggi a breve, brevissimo termine senza curarsi minimamente di quello che si sta calpestando con riprovevole noncuranza. È chi vi scrive che lotta in mezzo a bigotti e a bugiardi, a finti preti, a giudici improvvisati, a giurie da social, ad una informazione da carrozzone e che si ritrova a dover spezzare catene che mi legano ad una società che trasuda lerciume.

Catene. Si casca sempre qua.

di Gabriele Bianchi

redazione.cascinanotizie