Romanzo criminale cascinese. "Non chiamateli bulli, sono criminali minorenni". Il racconto di un testimone oculare
Gli antefatti e i fatti di venerdì 7 luglio, con l'aggressione di un minorenne armato di coltello al padre di un ragazzo poco prima bullizzato, riportati, come in un racconto breve, da un testimone oculare
Riceviamo e pubblichiamo il racconto di un testimone ai fatti di venerdì 7 luglio, quando nei pressi di Piazza Gramsci a Cascina, un minore mise mano ad un coltello puntandolo verso il padre di un ragazzo poco prima bullizzato da una baby-gang.
Sui fatti narrati si era già espresso il sindaco Michelangelo Betti, che aveva tuonato: "Nessuna indulgenza".
Tra le righe del racconto, anche la richiesta rivolta alle istituzioni tutte, per cercare di arginare un fenomeno davvero pericoloso e a tratti esplosivo (vedi i tanti episodi registrati a Cascina lo scorso anno ndr)
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IL RACCONTO INTEGRALE
Con riguardo ai fatti scaturiti nei fatti di Cascina di venerdì scorso, parlare semplicemente di bullismo è riduttivo. Siamo di fronte a un vero e proprio fenomeno di criminalità minorile.
Certo gli aggressori del ragazzo (13 anni) hanno esordito come bulli, ma oggi con le loro rapine a mano armata, i loro pestaggi e i loro furti nelle case potrebbero essere definiti con l’espressione: “criminali”. Criminali minorenni. Spesso anche per l'inerzia delle istituzioni che dovrebbero impegnarsi affinché i bulli non si trasformino in criminali. Famiglia, Scuola e Servizi Sociali in testa.
I fatti narrati sono avvenuti alla presenza di numerosi testimoni. I nomi, trattandosi di minori, sono di fantasia.
Primo atto. Domenica 19 giugno, di pomeriggio, Matteo esce di casa per una passeggiata con un amico sul corso a Cascina. Verso le 16 e 30 viene rapinato dell’i-phone, quello che si è voluto comprare a tutti i costi (ricondizionato) risparmiando euro su euro dalle mance dei nonni. A rapinarlo sono stati Giulio con il fratello Leonardo, il primo di 14/15 anni il secondo di 16/17 e un terzo ragazzo non conosciuto da Matteo, probabilmente maggiorenne e sicuramente più grande dei primi due. Matteo si chiude a riccio con i genitori su questo avvenimento e solo qualche giorno dopo, davanti ai carabinieri di Cascina, riesce a raccontare compiutamente i dettagli dell’accaduto, fino a quel momento ignoti anche ai genitori.
Le modalità della rapina sono raccapriccianti. Giulio, che “frequenta” (poco) le medie Pascoli come Matteo, ha cominciato ad urlare a squarciagola il suo nome intimandogli di andare da lui, all’altezza della Farmacia Piccioli sul corso di Cascina. Matteo dapprima lo ignora poi, per farlo smettere, gli si avvicina.
Giulio gli chiede subito dei soldi minacciandolo se non glieli avesse dati. Matteo gli dice di non averne. A quel punto sopraggiungono il fratello più grande di Giulio, Leonardo, e l’altro ancora più grande, che cominciano a minacciarlo anche loro, lanciandogli oggetti sulla testa.
Matteo mostra le tasche vuote e, per farlo, estrae lo smartphone dalla tasca che, prontamente, gli viene sfilato da Giulio. A questo punto Giulio comincia a minacciarlo per farsi dare il codice di sblocco del telefono. Matteo resiste ma, alla fine, pressato dall’accerchiamento dei tre e con la promessa da parte di Giulio che se gli avesse dato il codice gli avrebbe restituito l’i-phone, gli rivela il codice di sblocco. A quel punto Giulio glielo ridà ma gli dice: “però ora facciamo pace. Dammi un abbraccino”. Matteo, pensando di essere uscito dalla situazione, lo abbraccia con l’i-phone in mano. Da dietro il fratello di Giulio, Leonardo e il suo amico più grande glielo sfilano di nuovo di mano allontanandosi. Matteo li rincorre, chiede la restituzione del telefono, ma loro negano di averlo preso. Seguono le minacce di morte di Giulio il quale dice che se Matteo avesse parlato con qualcuno della rapina sarebbe finito come gli “infami”, ovvero “sottoterra”.
I due fratelli, italiani, con la loro pattuglia di “affiliati”, hanno già molte denunce a loro carico anche per reati gravi e, qualche giorno dopo la querela del padre di Matteo a nome di suo figlio, si viene a sapere che il più grande dei due fratelli, Leonardo, è stato condotto presso un istituto minorile del sud Italia. Lo si riscontra dal profilo Instagram di Leonardo stesso, quello dove usa esibirsi mentre fuma canne davanti all’auto dei Carabinieri e che ora, dopo il suo arresto, è pieno di messaggi di commiato. Chi dice “esci presto”, chi si fotografa mentre fuma “l’ultima canna” in suo onore e poi c’è il messaggio del fratello più piccolo Giulio, che saluta il fratello così: “sei mio fratello sangue del mio sangue…non meritavi di stare lì ma PER COLPA DI UN INFAME CI SEI FINITO TI SARA’ FATTA VENDETTA FRATELLO MIO…”. L’infame, ovviamente, è ad ogni buon conto Matteo. Infatti, Giulio attribuisce alla denuncia di Matteo l’arresto del fratello Leonardo, mentre il suo invio in un istituto minorile è probabilmente dovuto a reati commessi in precedenza.
Secondo atto. Il 6 luglio scorso, la sera attorno alle 21, Matteo (l’infame) si trova sul corso di Cascina, seduto con gli amici su una panchina dietro al monumento dei caduti quando viene affrontato nuovamente da Giulio accompagnato da due amici. Giulio gli sferra uno schiaffo e dice che deve ritirare la denuncia. Gli sferra poi un secondo schiaffo e gli si siede accanto con gli altri suoi amici. Matteo è di nuovo circondato. Giulio dice a Matteo “ci sono persone che ti vogliono già morto… se non levi la denuncia o prendi tanti schiaffi o ti lascio un trancio”, ovvero un taglio con coltello sulla faccia. Poi, Giulio chiede ancora denaro a Matteo che dice di non averne. Uno degli amici di Giulio, che Matteo conosce di vista con il nome di Mario e che è già noto alle forze dell’ordine, nota il portafoglio che ha in tasca e, alla fine, Giulio gli prende i 20 euro che aveva all’interno, minacciandolo di non dirlo a nessuno perché lo avrebbe preso a schiaffi. Matteo ne chiede la restituzione, che Giulio rifiuta e anzi, chiamando a sé un ulteriore amico appena sopraggiunto, gli chiede “E’ vero che gli infami devono morire tutti?” e quello risponde “Sì e anche i finti amici”. Una commerciante di Cascina presso il cui locale Matteo con gli amici, presenti ai fatti, si sono rifugiati, avverte il padre di Matteo. Alle 2 di notte Giulio manda un esplicito messaggio di minaccia, tramite Instagram, a Matteo nonostante non si seguano su tale social.
Terzo atto. È passato solo un giorno, è il 7 luglio, Matteo, nonostante la preoccupazione dei genitori, vuole comunque uscire la sera sul Corso di Cascina, dice che non vuole cambiare le sue abitudini per un prepotente. I genitori acconsentono, anche suo padre sarebbe uscito con la figlia più piccola al parco giochi dei bambini lungo le mura di Cascina e, qualora avesse avuto bisogno li avrebbe trovati lì.
Dopo circa un’ora che il padre di Matteo si trovava con la figlia piccolina a giocare al parco, lo vede arrivare circondato dai suoi amici e visibilmente agitato. “Sta arrivando Giulio, mi sta cercando”, dice Matteo al padre. Dopo poco arriva Giulio e Matteo con gli amici si spostano sul lato opposto del parco spaventati. Giulio che è molto alto ed ha una grossa stazza, pari a quella di un uomo adulto, urla il nome di Matteo dirigendosi verso di lui. A quel punto gli si para davanti il padre che lo invita a lasciare stare il figlio. Giulio lo spinge dicendogli “levati dal cxxxx” e il padre di Matteo risponde con uno “schiaffo didattico”, con lo scopo di evitare che si avvicinasse nuovamente al figlio per fargli del male.
Sentendosi spaesato, molto probabilmente perché nessuno lo ha mai schiaffeggiato, Giulio comincia a minacciarlo con un oggetto che ha in mano, un trincetto o un piccolo coltello, forse lo stesso oggetto con cui si dice sia abituato a minacciare i ragazzini di Cascina per farsi consegnare denaro. Matteo chiama il 112, mentre Giulio ogni tanto si avvicina al padre tentando di sferrare qualche colpo, ma per fortuna non va mai a buon fine. Dopo pochi minuti arrivano i carabinieri e il delirio serale cascinese finisce.
Pare che nei giorni successivi i genitori di Giulio abbiano sporto denuncia contro il padre di Matteo per percosse a loro figlio.