Una Città in Comune: "Carta spesa: strumento di propaganda mentre non si investe sui servizi"
Il gruppo politico "Una Città in Comune" critica la Giunta Conti per l'ennesima "elemosina" una tantum, pura propaganda e nessun investimento su progetti strutturali contro le disuguaglianze e per le famiglie
Questo il comunicato integrale
Ci risiamo: la Giunta conti torna ancora una volta alla carica con la carità pelosa e la formula dei bonus già sperimentata per “mamma, gatto, bebè e anziano”.
Questa volta i destinatari della misura sono i nuclei familiari con uno o due componenti, rimasti esclusi dalla possibilità di accedere alla Carta Acquisti Solidale, l’elemosina destinata dallo Stato ai nuclei familiari più numerosi .
Grazie alla “generosità” di questa amministrazione, in questi giorni è stato annunciato che sta per essere pubblicato un Bando per assegnare 100 euro ai nuclei monofamiliari e 200 a quelli formati da due persone. La misura è una tantum e potrà essere ottenuto un’unica volta.
Siamo convinti che queste misure rappresentino semplice propaganda senza alcun reale progetto strutturale e nel lungo termine di contrasto alla disuguaglianze sociale e di supporto strutturato alle famiglie e ai singoli.
Meno di due mesi fa abbiamo denunciato la condizione delle famiglie pisane alle quali è stato sospeso il reddito di cittadinanza perché non in carico ai servizi sociali. In quel drammatico frangente, nonostante i nostri solleciti formali in consiglio comunale, questa amministrazione ha semplicemente ignorato la questione, salvo attivarsi adesso con un intervento assolutamente inadeguato e limitato, attorno al quale non sembra esserci alcuna strategia nel lungo termine.
Ma come agire superando la propaganda dei bonus e andando invece verso una vera strategia per la giustizia sociale?
L’amministrazione comunale ha destinato 70mila euro a questo bonus, destinato peraltro a esaurirsi in un’unica erogazione, senza alcuna continuità, come se 100 o 200 euro potessero davvero essere una soluzione che vada oltre l’emergenziale.
Con la stessa cifra si sarebbe potuto, ad esempio, assumere due assistenti sociali in più, potenziando il servizio in una città ancora lontana dall’aver raggiunto la proporzione obbligatoria tra operatori dei servizi sociali e abitanti, in un quadro in cui, dopo la sospensione del reddito di cittadinanza, la domanda di sostegno è peraltro destinata ad aumentare.
Oppure, con le stesse risorse, si sarebbe potuto attivare un servizio stabile per l’inserimento lavorativo e l’autonomia, uscendo dalla logica dei progetti precari che non si trasformano in servizi e facendone invece percorsi nel lungo termine.
Con 70.000 euro, infine, si sarebbero potuti attivare finalmente l’Osservatorio e il Tavolo contro la povertà, per poter studiare le caratteristiche della marginalità e dell’esclusione e il profilo delle risorse del territorio, perché per avere politiche e risposte serie ed efficaci ai problemi sociali servono dati e informazioni accurate e aggiornate, non semplice propaganda.
E invece, ancora una volta, l’unica risposta che si dà è emergenziale e limitata, senza alcuna reale visione strutturale e nel lungo termine che la supporti e la integri ad altri interventi.
E la giustizia sociale, in tutto questo, dov’è?